Pochi uomini possono dire di aver provato lo smarrimento che sicuramente provò Bruce McCandless. Correva l’anno 1984 ed era in corso la missione STS-41-B dello Space Shuttle Challenger quando l’astronauta divenne il primo essere umano a effettuare un’attività extra-veicolare (EVA) completamente libera, senza cavo di sicurezza. Tale operazione fu possibile grazie alla Manned Maneuvuring Unit (MMU), un grosso zaino pesante 140 kg con propulsione autonoma.
Il primo prototipo di questo innovativo sistema fu concepito già nel 1966, quando la NASA sviluppò la Astronaut Maneuvering Unit (AMU), un antenato più rudimentale della MMU. Era previsto un test operativo durante la missione Gemini 9A da parte di Gene Cernan, l’ultimo uomo a mettere piede sulla Luna. Tuttavia, le EVA erano ancora nelle fasi iniziali ed uno dei fenomeni che capitava era una eccessiva stanchezza che portava ad una abbondante sudorazione. Il sudore, in seguito, si condensava appannando l’elmetto e rendendo impossibile proseguire l’EVA in sicurezza. In seguito la NASA imparò come far lavorare gli astronauti senza che si affaticassero eccessivamente e progettò anche tute spaziali migliori, ma all’epoca dei primi voli orbitali ciò era un problema.
Successivamente, durante il programma Apollo, non vi fu una reale necessità di usare un sistema autonomo di questo tipo e quindi il suo impiego finale venne rimandato al programma Space Shuttle, le cui missioni si sarebbero svolte tutte nella bassa orbita terrestre (LEO).
La MMU era dotata di 24 ugelli per la propulsione e usava azoto gassoso come mezzo per muoversi nello spazio. Un braccio della MMU aveva il controller per il moto rotazionale, l’altro il controller per il moto traslazionale. Combinando i due moti, gli astronauti potevano seguire traiettorie molto complesse e potevano anche inserire il pilota automatico per avere le mani libere! La scorta di azoto, a seconda del tipo di missione da eseguire, poteva durare fino a sei ore.
Durante la missione STS-41-B, Bruce McCandless indossò l’unitàe uscì dallo Space Shuttle Challenger, fluttuando libero nello spazio fino a 98 metri di distanza dall’orbiter. Era completamente solo, avvolto dall’oscurità, consapevole che se qualcosa fosse andato storto per lui potevano esserci poche speranze di essere salvato. Tuttavia, egli stesso aveva contribuito alo sviluppo della MMU essendo un ingegnere, era il suo momento, e lo affrontò con grande coraggio. In seguito avrebbe ricordato questo aneddoto:
Mia moglie era al controllo di missione, e c’era un po’ di apprensione. Volevo dire qualcosa di simile a Neil quando atterrò sulla luna, così dissi: potrebbe essere stato un piccolo passo per Neil, ma è un gran salto per me. E la tensione si allentò
La foto della sua impresa divenne epocale, il simbolo stesso del programma Space Shuttle. Essa venne riportata su libri, riviste, trasmissioni televisive, e fu l’essenza stessa del progresso tecnologico che l’umanità aveva raggiunto in pochi decenni. Solo 80 anni prima, i primi prototipi di aeroplani avevano lasciato il suolo. Solo 15 anni prima, l’uomo camminava sulla Luna. E nel 1984, gli uomini potevano addirittura muoversi nello spazio liberamente.
La MMU venne concepita tra le altre cose per raggiungere satelliti e ripararli, oppure trascinarli nella stiva dell’orbiter per riportarli sulla Terra. Essa venne usata però in sole tre occasioni. Nel 1986, infatti, lo Space Shuttle Challenger andrò distrutto durante il lancio a causa di un guasto con i giunti dei razzi a combustibile solido. Ne seguì una pausa di due anni nel programma spaziale della NASA, durante i quali si giunse anche alla conclusione che la MMU fosse troppo rischiosa e che la maggior parte delle attività per le quali era stata concepita potevano essere svolte con tradizionali EVA con cavo.
Attualmente, le due unità rimaste sono esposte in due distinti musei: la prima, appesa sopra allo Space Shuttle Discovery al National Air and Space Museum e la seconda è stata collocata vicino allo Space Shuttle Atlantis al Kennedy Space Center Visitor Complex.
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