La missione Hayabusa 2 dell’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), in azione sull’asteroide 162173 Ryugu, è grande un successo per la ricerca astronomica e non solo. La missione, lanciata nel dicembre del 2014, ha raggiunto grazie ad un propulsore ionico il suo obiettivo il 27 giugno 2018. Una volta a destinazione, la sonda ha sganciato con successo un piccolo lander sulla superficie, MASCOT, dotato di quattro strumenti scientifici principali: un microscopio a infrarossi, una fotocamera, un magnetometro, un radiometro. La parte finale della missione prevede, come per la missione precedente, la raccolta di campioni dell’asteroide da far ritornare sulla Terra verso il 2020.
Sebbene la missione non sia stata ancora completata, moltissimi sono dati che sono già stati raccolti, che hanno portato alla realizzazione di studi approfonditi sull’asteroide, i cui risultati sono stati presentati alla cinquantesima edizione della Lunar Planetary Science Conference e pubblicati quindi su Science.
Il primo dei tre studi è stato condotto da SeiIchiro Watanabe, della Nagoya University. Ryugu ha la forma di una trottola e una densita pari ad appena 1,19 grammi per centimetro cubico. La bassa densità suggerisce che l’asteroide potrebbe essere composto prevalentemente da rocce porose, con una porosità superiore al 50%. Anche la massa è ormai nota con uno scarto molto ridotto dell’1,3%, ed è pari a 450 milioni di tonnellate. La forma particolare dell’asteroide sembrerebbe indicare che sia stato deformato dalla forza centrifuga durante una rapida rotazione.
Nel secondo studio, ad opera di Seiji Sugita, dell’Università di Tokyo, viene analizzata più nel dettaglio la storia evolutiva dell’asteroide. La sua composizione e l’assenza di acqua fanno pensare agli scienziati che Ryugu si sia formato dalla frammentazione di progenitori molto più grandi, i cui detriti si sarebbero riagglomerati grazie alla reciproca attrazione gravitazionale. A tale proposito, ecco le parole di Davide Perna, dell’INAF, coautore dell’articolo:
Sia la morfologia che l’uniformità delle caratteristiche spettrali dell’asteroide Ryugu fanno pensare che questo corpo celeste si sia formato a seguito di un impatto primordiale subìto da un corpo celeste “genitore”, i cui frammenti si siano riaggregati per costituire l’asteroide come oggi lo osserviamo. L’energia termica sviluppatasi in questo impatto potrebbe aver causato una parziale disidratazione del materiale, giustificando così la debole intensità osservata per la banda di assorbimento dell’OH.
Nel terzo studio, guidato da Kohei Kitazato, dell’Università di Aizu, viene approfondita ulteriormente la composizione chimica dell’asteroide, evidenziando in particolare la presenza di idrati. A tale proposito, ecco le parole di Ernesto Palomba, dell’INAF, coautore dell’articolo:
Dall’analisi dei dati dello strumento Nirs3 a bordo della sonda Hayabusa 2 si evince che Ryugu ha una superficie molto scura e possiede una struttura spettrale che è indicativa della presenza in superficie di materiale contenente ossidrile, lo ione dell’acqua costituito da un atomo di ossigeno e uno di idrogeno (OH). Questo materiale risulta presente sulla superficie dell’asteroide in modo omogeneo, ma in lieve abbondanza.
Sempre secondo questo terzo studio, Ryugu è il corpo celeste più oscuro mai visitato da una sonda spaziale. Una albedo così bassa, persino superiore al nucleo cometario 67P/Churyumov-Gerasimenko, suggerisce la presenza di materiali ad altissimo assorbimento, come la magnetite, composti del carbonio o materiali ottenuti grazie ad uno shock metamorfico.
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