Grazie ad uno sforzo combinato di 33 radiotelescopi distribuiti in tutto il pianeta, è stato possibile per li scienziati studiare meglio GW170817, la prima sorgente di onde gravitazionali scoperta grazie agli osservatori LIGO e VIRGO di cui sia stata anche osservata la radiazione.
Le onde gravitazionali sono increspature dello spazio-tempo generate da eventi di proporzioni immense, come appunto la collisione di stelle di neutroni o di buchi neri. Rilevarle è difficilissimo! Attualmente gli osservatori di onde gravitazionali sono dei grandi interferometri formati da due bracci. Un raggio laser viene diviso in due componenti, una per braccio, le quali seguono due strade differenti. Lo strumento è studiato in modo che, in assenza di perturbazioni, i due segnali si ricombinano in antifase, annullandosi a vicenda. Ma quando l’osservatorio viene attraversato da un’onda gravitazionali, lo spazio-tempo viene deformato e quindi i due bracci non hanno più la lunghezza prevista, e i due segnali non si annullano a vicenda ma restituiscono invece un segnale misurabile. Parliamo di una variazione di 10−18 m, e giusto per darvi un confronto un atomo di idrogeno misura circa 10−11 m!
GW170817 è stato un segnale di onda gravitazionale misurato il 17 agosto 2017 dagli interferometri VIRGO e LIGO. Una pietra miliare, perchè insieme al segnale è stata osservata anche la radiazione proveniente dalla collisione delle due stelle di neutroni. Un grande successo per l’astronomia multimessaggio.
Sono stati resi noti in questi giorni i risultati di uno studio diretto da Giancarlo Ghirlanda, ricercatore dell’INAF e condotto da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell’Università di Milano-Bicocca, del Gran Sasso Science Institute e dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Secondo tale studio, dalla collisione tra le due stelle di neutroni del segnale GW170817, si è originato un getto di energia e particelle a velocità ultrarelativistiche, prossime quindi alla velocità della luce. Secondo le ricerche, al momento della fusione, si è formato uno strato ricco di neutroni, i quali hanno poi generato elementi pesanti. Il getto di energia e particelle ha dovuto “rompere” questo involucro. Se non lo avesse fatto, l’energia sarebbe rimasta intrappolata all’interno portando probabilmente ad una grande esplosione quasi sferica.
Ma come osservare un’esplosione sferica o un getto di materia all’interno della galassia NGC 4993, distante 130 milioni di anni luce? Grazie ad una tecnica chiamata Very Long Baseline Interferometry. Essa consiste nell’utilizzare radiotelescopi sparsi in tutto il mondo, distanti anche migliaia di km, per catturare dettagli sempre più piccoli. Più è ampia la distanza tra i radiotelescopi e più sono fini i dettagli che si possono osservare.
Grazie allo sforzo congiunto di strumenti e scienziati, è stata osservata una struttura compatibile con le dimensioni teoriche di un getto di materia, più piccolo rispetto ad un’ipotetica esplosione sferica.
Queste le parole di Om Sharan Salafia, ricercatore dell’INAF e co-autore dello studio:
È un po’ come giocare a ‘Indovina chi?’: per capire se si tratta o no di un getto, bisogna essere in grado di prevedere come appare la sorgente 200 giorni dopo la rivelazione delle onde gravitazionali, cioè nel momento in cui le antenne VLBI l’hanno osservata. Dal confronto delle immagini teoriche con quelle vere si nota che solo un getto appare sufficientemente ‘compatto’ da essere compatibile con la dimensione osservata.
Queste invece sono le parole di Valerio D’Elia, co-autore dello studio e scienziato dell’ASI:
La prima e al momento unica rivelazione di onda gravitazionale a cui è stata associata una controparte elettromagnetica, GW 170817, ha dimostrato l’importanza fondamentale della sinergia tra rivelatori di onde gravitazionali e strumenti per l’astronomia da terra e dallo spazio.